Storia

La storia di Anoia

Ricerche di Giovanni Quaranta

Tratte dal Sito Anoiaonline

 

 

Le origini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le origini di Anoia, seppur non supportate da notizie certe, sembrerebbero risalire al V° o IV° sec. prima di Cristo. Gli antichi coloni della Magna Grecia già alcuni secoli prima avevano iniziato a sbarcare sulle coste ioniche dell'attuale Calabria ed avevano fondato quelli che in pochi anni erano diventati importanti centri economici e culturali. Per quanto attiene alla nostra storia un'importanza fondamentale la riveste la città di Locri Epizephyrii. Essa era stata fondata nei primi anni del VII sec. a.C. da coloni achei provenienti dalla Locride nella Grecia centrale. Quasi un secolo dopo i Locresi spinti dall'esigenza di espansione territoriale, non potendo espandensi nè verso sud a causa della presenza della città di Reggio nè verso nord a causa della presenza di Crotone, incominciarono ad espandere il loro territorio alle spalle della città verso l'Aspromonte. Fu allora che dopo aver valicato le montagne si affacciarono verso il mare Tirreno edificando le sub-colonie di Medma (nei pressi dell'attuale Rosarno) e di Hipponion (nei pressi dell'attuale Vibo Valentia) ed impossessandosi di Metauros (Gioia Tauro) sostituendosi ai calcidesi. I locresi per raggiungere le colonie sul mare Tirreno seguivano delle vie che attraverso tratturi di montagna ed alvei di fiumi, permettevano l'ascesa dalla costa ionica e attraverso il valico delle montagne aspromontane la discesa verso la costa tirrenica. I cospicui interessi commerciali inducevano i locresi a costituire lungo questi tragitti degli insediamenti sia civili che religiosi allo scopo di mantenere il controllo dei territori limitrofi attraverso un'opera di ellenizzazione delle popolazioni indigene. Lungo una di queste direttrici, che attraverso il fiume Torbido saliva verso i Piani della Lìmina per poi discendere verso Medma ed Hipponion, si trovava Anoia. Secondo alcuni storici locali, le origini di Anoia risalirebbero a quando i locresi edificarono Templum Musarum nel luogo ove ora è Cinquefrondi, stabilendo nelle zone vicine delle mandrie con la nascita di piccoli villaggi formati da pastori. Un'altra tesi che ci sentiamo di formulare è quella di un presidio militare il quale, vista la posizione geografica, potrebbe aver fatto da contrafforte a Cinquefrondi a difesa del torrente Sciarapòtamo quale punto di difesa per eventuali incursioni al territorio della Locride attraverso il valico della Lìmina . A conferma della presenza locrese nel territorio di Anoia è da segnalare il ritrovamento di alcuni reperti archeologici quali oggetti in terracotta e persino monete in bronzo locresi. Anche il nome sembra avere origine greca e, così come ci riporta il Rholfs, derivare dal gr. τα ανωγαια col significato di "case soprane" o "luoghi posti in alto" ed è indubbio che Anoia si trova sopra un sito che domina il fiume e la vallata sottostante.

 

Il primo periodo feudale

 

 

 

 

 

 

 

Stemma degli Aldobrandini

 

 

 

Nessuna notizia certa si rileva fino al periodo angioino allorquando Carlo I° d'Angiò affermava la sua supremazia sulla dinastia sveva, sviluppando in tutta l'Italia meridionale quel sistema feudale che attraverso un'amministrazione spietata di baroni senza scrupoli contribuì a peggiorare le già penose situazioni socio-economiche della popolazione. Una di queste baronie fu quella di Anoia, la quale comprendeva oltre detta Terra anche i casali di Susanoja, Maropati e Tritanti. La prima notizia certa risale al 1270 allorquando Signore di Anoia appare Ruggero de Nao, del quale la figlia Giovanna, nel 1278 la porta in dota al milite Egidio de Orta col quale contrasse matrimonio. Successivamente, nel 1282, intestatario ne è Aldobrandino de Acquarolo da Firenze, qualificato giudice, il quale risulta possessore di Anoia in territorio di San Giorgio: tale circostanza lascerebbe ad intendere l'appartenenza di Anoia alla baronia di San Giorgio. Inoltre da alcuni documenti storici si rileva che all'Università di Anoia era affidata da Carlo I° d'Angiò la custodia e la difesa del castello della stessa San Giorgio. Successivamente (1285?) Anoia si distaccò dalla baronia di San Giorgio e nel 1314 si rileva che Ludovico Mojuli esercitava il dominio e la giurisdizione delle baronie di Anoia e di San Giorgio.

 

 

I Caracciolo di Gerace

 

 

 

 

 

 

 

Stemma dei Caracciolo di Gerace

 

 

 

Nel 1371, per concessione della regina Giovanna I^, Antonio Caracciolo, conte di Gerace e Terranova, è investito della baronia di Anoia e di quella di Grotteria nonchè di altri fondi rustici. Nel 1385 lo stesso viene privato dei suoi feudi che rientrano alla Regia Corte. Mentre Gerace e Terranova venivano assegnati ad Alberico da Barbiano, Anoia non seguì le stesse sorti e nel 1393 ne risulta feudatario tale Carlo Trotta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stemma dei Trotta d'Annoya

 

 

 

Nel 1389 Antonio Caracciolo, che intanto si era riappropriato delle terre confiscate, muore e gli succede il figlio primogenito Giovanni il quale nel 1404 con l'intento di ricostruire lo Stato posseduto dal padre si reintegra la baronia di Anoia ricomprandola da re Ladislao.

Intorno al 1420, a causa del declino di Giovanni, la baronia passa al di lui fratello Giovambattista, poi dal 1443 all'altro fratello Giorgio, e successivamente dal 1446 all'altro fratello Tommaso.

Essendo marchese di Gerace e conte di Terranova, Tommaso Caracciolo divenne ribelle a re Alfonso detto il Magnanimo partecipando alla "congiura dei baroni". Scoperto il complotto, nel 1455 ebbe inizio un lungo processo che culminò nella condanna a morte mediante decapitazione di Tommaso (1457), pena che non fu mai eseguita. In conseguenza di tale condanna, i feudi di Tommaso Caracciolo furono confiscati e, il 1° gennaio 1458, concessi da re Alfonso a Marino Curiale di Sorrento; poi passarono a Giacomo I° Milano, al Gran capitano Consalvo Fernandez da Cordova e successivamente alla figlia Elvira da Cordova, a Tommaso de Marinis di Genova e poi, di nuovo, ai Milano.

Ma la baronia di Anoia, alla destituzione di Tommaso Caracciolo, non venne assegnata al Curiale. Essa venne chiesta come legittima eredità da Maria Caracciolo, nipote di Tommaso e figlia di Giorgio, la quale nel 1453 veniva investita della baronia di Anoia, della terra di Plaisano col casale di Galatro e del feudo detto Borrello. Sposando Francesco Caracciolo, barone di Pisciotta, porta Anoia in altro ramo della casata.

A Maria succede Giovan Cola Caracciolo, ed a questi nel 1495 Alfonso Caracciolo al quale veniva riconfermata la boronia nel 1506 da re Ferrante II°.

Alla morte di Alfonso (1516) la baronia passa al figlio Baldassarre che ne ottenne investitura nel 1517. Sposando Eleonora d'Aragona, figlia dell'ultimo marchese di Gerace, aggiunge al proprio l'altro cognome.

Morto Baldassarre (1529) erede è il figlio Antonio Caracciolo d'Aragona che ne ottiene investitura nel 1530. Egli morirà nel 1546, improle, lasciando vedova Vincenza Spinelli, figlia del duca di Castrovillari, per cui Anoia e gli altri feudi passano al fratello Carlo.

 

I Ruffo di Sinopoli-Scilla

 

 

 

 

 

 

 

 

Stemma dei Ruffo di Sinopoli-Scilla

 

 

 

Per arrivare all'acquisto di Anoia da parte dei Ruffo di Sinopoli-Scilla bisogna partire da alcune premesse.

Il conte Paolo Ruffo, impegnato in una politica atta a costituire uno tra i più grandi patrimoni feudali dell’Italia meridionale, incominciò a intraprendere numerosi rapporti economici che attraverso prestiti ed operazioni finanziarie varie lo portarono a rafforzare quelli che erano i suoi possedimenti.

Di questi rapporti economico-finanziari ci interessa qui ricordare quelli intercorsi con Ettore Pignatelli, duca di Monteleone, e con lo zio Marino Correale, barone di Cinquefrondi.

Il conte Ruffo aveva concesso nel maggio 1531 un prestito al Pignatelli il quale si impegnò a corrispondergli degli interessi pari al 10 per cento.

Successivamente Paolo Ruffo concluse un'altra importante operazione finanziaria con lo zio Marino Correale, dal quale comprò un fondo che concesse in fitto allo stesso chiedendone un canone di 100 ducati annui (pari ad un interesse del 10 per cento). Lo zio non fu in grado di onorare i suoi impegni ed allora, il conte Ruffo, nel febbraio del 1548, ne approfittò per entrare in possesso del suo suffeudo rustico di Morbogallico. Questa operazione fu resa possibile anche grazie all'assenso del Pignatelli - che di Morbogallico ne aveva il dominio eminente - al quale il Ruffo, oltre ai buoni rapporti economici intercorsi, aveva riconosciuto i diritti di possesso sulla contea di Borrello per lungo tempo contesi tra le due famiglie.

Fu così che i Ruffo incominciarono la scalata per il possesso di Anoia.

Il conte Paolo Ruffo, sempre determinato ad ampliare i suoi possedimenti, e per sopperire alla perdita della contea di Borrello, si adoperò con l'appoggio dell'influente duca di Monteleone, per comprare la baronia di Anoia cosa che gli riuscì nel maggio del 1548 quando per 26.000 ducati acquistò l'intero feudo da Carlo Caracciolo d'Aragona.

Il Caracciolo non aveva figli. In seguito alla sua successione al fratello Antonio aveva necessità di corrispondere alla cognata vedova oltre 25.000 ducati per capitale ed interessi della dote e del dotario garantiti sui beni del marito defunto.

Fu così che, come già detto, nel maggio 1548 - ricevendo il Regio Assenso alla vendita il 2 ottobre dello stesso anno - vende a Paolo Ruffo, sesto conte di Sinopoli, la “terra” di Anoia con i suoi casali e le seconde cause, la bagliva e la mastrodattia. Per ulteriori 500 ducati Carlo Caracciolo d’Aragona vende a Paolo Ruffo il diritto di ricompra del feudo di Arachi (Aracri n.d.r.) da esercitare su Loise Ramirez di Terranova che così poteva essere reintegrato nella baronia di Anoia.

Le seconde cause civili, criminali e miste, portulania e zecca di Anoia furono acquistati dalla Regia Corte con R. Assenso del 6 maggio 1556.

Per le sue importanti attività finanziarie il conte Ruffo aveva bisogno di ingenti capitali e fu per questi motivi che intrecciò dei rapporti d'affari con dei finanziatori genovesi. In questo contesto si inquadra l'operazione che portò il Ruffo a contrarre un mutuo di 8000 ducati con tale Paride Lomellino, al quale concesse in garanzia la vendita con patto di ricompra della baronia di Anoia. Il conte Ruffo si impegnò a versare al Lomellino 800 ducati annui sotto forma di affitto della baronia di Anoia, cosa che regolarmente fece e, nel luglio del 1557, avendo estinto il suo debito procedette al riacquisto di Anoia.

Nel 1561 il conte Paolo, fa refuta dei suoi beni al figlio Fabrizio, settimo conte di Sinopoli e poi dal 1578 primo principe di Scilla.

Tutto ciò fu reso necessario per far sì che con l’assunzione del titolo comitale, Fabrizio succedesse al padre alla guida della famiglia e così facendo rafforzasse la sua posizione permettendo di concludere le trattative - condotte dal conte Paolo - per le sue nozze con Ippolita di Gennaro, figlia ereditiera di Annibale (conte di Nicotera) e Tommasina d’Afflitto.

Con tale unione, i Ruffo si impadronirono della contea di Nicotera, del fondo di Ravello e della gabella di S. Spirito e delle Gradelle di Napoli sui cui gravavano pesanti debiti contratti dal di Gennaro.

Erede di Fabrizio (morto nel febbraio 1587) è la figlia Maria, principessa di Scilla, che ne risulta intestataria il 16 marzo 1588.

Nel 1590 sposa il cugino Vincenzo Ruffo, per volere del padre, al fine di evitare l’estinzione della famiglia.

Rimasta vedova, Maria si risposa con Tiberio Carafa, principe di Bisignano, al quale recò in dote 100 mila ducati, somma che contribuì al dissesto del patrimonio della stessa.

Al debito della dote da corrispondere alla sorella Margherita si andarono ad aggiungere le spettanze per le doti della figlia primogenita Giovanna e dell’altra Imara.

L’insolvenza di Maria portò all’alienazione di Fiumara di Muro in favore della figlia Imara e del di lei marito Francesco Ruffo, duca di Bagnara, che passa quindi ad altro ramo della casata; ed alla perdita della contea di Nicotera in favore del principe della Riccia, marito di Margherita, il quale ne entrò in possesso a garanzia del credito vantato sulla dote della moglie fino al riscatto da parte dei Ruffo che avverrà nel 1763.

In tale contesto, Maria vende la baronia di Anoia alla figlia Giovanna per 60.600 ducati, con Regio Assenso del 21 gennaio 1623.

Rimasta vedova nel 1632 del cugino Francesco Vincenzo, al quale successe nel marchesato di Licodia e nel principato di Palazzolo (in Sicilia) per conto del figlio primogenito Fabrizio, si risposa due anni dopo - già madre di  6 figli: Fabrizio, Francesco Maria, Tiberio, Maria, Camilla e Margherita - con Francesco Maria Carafa, duca di Nocera.

Giovanna si impegnava a corrispondere al Carafa 7200 ducati annui garantiti dalla vendita della neve, dalle entrate della baronia di Anoia e da un credito di 70 mila ducati da lei vantato sul patrimonio dei Colonna per l’affitto di Anoia. Tali debiti si andarono a sommare a quelli contratti con la sorella Imara, col cognato Francesco e con altri parenti del ramo di Bagnara creando una tale situazione da indurre il Sacro Regio Consiglio a porre sotto sequesto nel 1638 gli stati siciliani di Licodia e Palazzolo e successivamente gran parte dei suoi feudi calabresi.

 

I genovesi Paravagna

 

 

 

 

 

 

 

 

Stemma dei Paravagna

 

 

 

Nel 1636, a causa della pessima situazione debitoria, Giovanna Ruffo aliena, e per soli 40.000 ducati, la baronia di Anoia a Giovanfrancesco Paravagna, patrizio genovese con rilevanti interessi nel Regno di Napoli.

Alla sua morte avvenuta nel 1640, il figlio Giacomo ereditò il feudo del padre, ma essendo minore di età fu affidato alla tutela dello zio Ambrogio. Per tutto il tempo in cui gli fu affidata la tutela del nipote minorenne, Ambrogio amministrò i feudi traendone un grande vantaggio personale. Alla maggiore  età, Giacomo chiese il rendiconto dell'amministrazione dei beni paterni, ma lo zio Ambrogio si rifiutò ed anzi, con minacce di morte, costrinse il nipote a rilasciargli una dichiarazione di avvenuto rendiconto. Tale episodio si svolse nel convento di San Francesco di Paola di Anoia, alla presenza del notaio Elia Tuppo da Seminara (persona di fiducia di Ambrogio).

Ma Giacomo, che aveva già ricevuto intestazione del feudo nel 1656 in qualità di erede del padre, ebbe riconosciute le sue ragioni anche grazie a numerose testimonianze rese a suo favore e, pertanto, lo zio Ambrogio fu condannato a restituirgli la parte legittima e gli interessi dal 1640 in poi.

Con privilegio del re Filippo IV° del 31 ottobre 1664, reso esecutivo il 10 giugno 1665, Giacomo ricevette il titolo trasmissibile di Marchese affisso su Anoia. Morì nel 1696 dopo aver refutato i feudi al figlio Nicolò Paravagna, secondo marchese di Anoia.

Alla morte di Nicolò avvenuta nel 1743, lo stato di Anoia passa al figlio erede Francescantonio Paravagna, terzo marchese di Anoia. Lo stesso, vivente il padre, aveva ricevuto per sè e per i suoi successori il titolo di Principe di Maropati con privilegio dell'imperatore Carlo VI° concesso in Vienna nel 1727.

A Francescantonio, che moriva in Anoia il 25 febbraio 1765, succederà il figlio Nicola, quarto marchese di Anoia e secondo principe di Maropati che nel 1766 ebbe intestazione dei feudi paterni.

Essendo feudatario Nicola Paravagna, Anoia visse una delle pagine più tristi della propria storia: il terribile terremoto del 1783 detto "il grande flagello". Il sisma che il 5 febbraio 1783 sconvolse tutta la Piana di Gioia Tauro ebbe come epicentro Oppido Mamertina provocando ovunque distruzione e morte. Anche Anoia non fu risparmiata. I due centri furono quasi completamente distrutti. I morti furono 202 di cui 154 ad Anoia (19 uomini, 60 donne e 75 ragazzi) e 47 ad Anoia Superiore (5 uomini, 21 donne ed altrettanti ragazzi).

Nel 1799, al tempo dell'ordinamento amministrativo disposto dal generale Championnet per il Napoletano, Anoia venne inclusa nel cantone di Seminara.

Ultimo dei feudatari di Anoia fu Giovanni Paravagna, quinto marchese di Anoia e terzo principe di Maropati. Nel 1801 ebbe intestato il marchesato di Anoia quale erede primogenito del principe Nicola deceduto nel 1798, detenendolo fino al 1806 quando fu colpito dalla legge "giuseppina" che decretò l'eversione della feudalità.

La suddivisione circoscrizionale disposta dai francesi nel 1807 l'assegnava al cosiddetto Governo di Soriano.

Col successivo riordino amministrativo, disposto per Decreto del 4 maggio 1811, il territorio dell'ex baronia veniva suddiviso, costituendo gli attuali Comuni di Anoia (con frazione Anoia Superiore) e Maropati (con frazione Tritanti), e gli stessi venivano compresi nel Circondario di Galatro.

 

 

Anoia, nell'anno 1646

 

 

La Terra di Anoia stà situata nella Provincia di Calabria Ultra dentro la piana di Terranova distante da Calanna miglia 40, da Nicotera m. 18, da Sinopoli m. 18, da Seminara m. 15, da S. Giorgio m. 3, da Galatro m. 3, da Reggio m. 40, da Monteleone m. 24, da Catanzaro dove risiede la Regia Audienza m. 50, et dalla marina più vicina detta di Gioya m. 12 in circa.

In conformità della numeratione dell'anno 1595, è di fuochi 360 incluso li Casali. Per la strada principale si và in detta Terra la quale è parte piana, et parte pendinosa, et vicino detta Terra si trova una salita aspra inselicata di pietre vive dalla quale s'impiana nel sito di essa, la quale stà edificata sopra un sito largo, et spatioso, piano, et eminente dal detto fiume, la quale non è murata, ma aperta, et si può intrare da tutte parti, et si cammina per essa comodamente per strade lunghe, larghe, et spatiose. Le habitationi sono dal'una, et l'altra parte di dette strade, le quali sono la maggior parte case terrane, et le altre sono con camere sopra coverte con tetti fabricate parte di pietre, et altre di quatrielli di creta.

Il sito di detta Terra è di aria temperata, et gode il sole, et viene ventilata da tutti  i venti; da detto sito si gode da mezzogiorno pianure, colline, et montagne, la piana, la marina di Gioya, Rosarno, Nicotera, et altre, et da tramontana tutte montagne.

L'habitanti di essa ne sono poco persone civili, li quali vesteno civilmente, dormeno sopra materazzi di lana, et con altri ornamenti di case; viveno con l'industrie, et altri loro esercitij, et le loro donne s'esercitano alli nutricati, et altri esercitij di case; sono si buono aspetto, et le persone ordinarie le quali si esercitano nelle caccie, et altri alle campagne, custodia di animali, et altri esercitij foresi; le loro donne similmente alle campagne, alli nutricati, et altri esercitij di case; vesteno al uso del paese, dormeno sopra matarazzi, et sacconi,  et al meglio si può. Per comodità di detti habitanti vi è uno medico fisico, uno mastro di scola, dui giudici à contratti, tre barbieri, dui sartori.

In essa non vi sono poteche, né taverne, né altre comodità per li forastieri, et li habitanti si provedeno per lo tempo, et nelli luochi vicini, et per uso di essi ci sono acque fresche, et buone; et per la macina vi sono tre moline ad acqua, quali sono del utile Signore. Intorno detta Terra vi sono giardini, vigne, oliveti, territorij seminatorij per comodità di essi.

Segue l'habitatione del utile Signore, la quale stà situata nel mezzo della Terra dalla parte di mezzogiorno; avante l'intrata di essa vi è una larga, et spatiosa piazza; da essa si entra nel cortiglio grande scoverto, alla destra si trova la gradiata, appresso nel piano di detto cortiglio vi sono più stanze per comodità di stalle, et altre, et alla senistra di detto cortiglio è uno camarino; accosto vi è una gradiatella dalla quale si ascende ad uno appartamento separato, il quale è diruto, ritornando nella gradiata maggiore si ascende ad una loggetta scoverta, dalla quale si entra ad una sala grande; alla destra di essa vi sono due camare grandi con le finestre al detto largo; ritornando in detta sala, la quale tiene le finestre a mezzogiorno, appresso alla detta dirittura sono tre camare coverte con intempiatura sopra coverte tutte con tetti; dietro detta sala, et camare sono sei camare, et cocina con l'affaccata a tramontana, dalla quale si godeno le habitationi della Terra. Con detta habitatione vi è uno poco di giardino senza frutti, solo il terratico, et questo consiste l'habitatione del utile Signore.

Et per quello che distende il territorio di detta Terra, et Casali, dalla parte di mezzogiorno stende mezzo miglio, et confina con lo territorio di Polistena, et Melicucco, da settentrione stende miglia 3, et confina con lo territorio di Galatro, et con il vallone, da levante stende uno miglio, et confina con lo territorio della terra di Cinquefrondi, et da ponente stende miglia due, et confina con lo  territorio di Ferolito che si possiede per il Signor duca di Monteleone.

Dentro del detto confine e territorio vi è la terra e tre Casali. La qualità del territorio è poco piano, et il restante sono colline, montagne, diviso da più valloni, et fiomare; del detto territorio ne sono campesi, oliveti, castagneti, giardini, frutteti, vigne, dalli quali ne pervengono tutte sorte di vittuaglie, vini bianchi, et rossi, ogli, frutti, verdume, castagne, et a rispetto del grano che si fà  in detto territorio non basta per uso delli habitanti ma si provedeno dalli luochi convicini.

Et a rispetto del spirituale stà sottoposta al vescovo della Città di Mileto distante da detta terra miglia 12. Vi è la chiesa madre sotto titolo di San Nicola, la quale stà nel mezzo del'habitato, la quale ha due navi ceverte con tetti; in testa è l'altare maggiore con una cona di nostro signor San Nicola, et San Sebastiano di buona pittura; alla destra è una cappella sfondata dov'è l'altare con custodia indorata dove assiste il Santissimo; appresso è la porta laterale, alla senistra è una cappella con cona di Sant'Antonio con li miracoli intorno di buona pittura guarnita, et indorata; appresso è un'altra cappella con cona della SS.ma Annunciata. In detta chiesa vi è il fonte battesimale, pulpido, palio, stendardo, et li apparati di tutti colori, dui calici, ingensiero, navetta, et una sfera d'argento; vi è il campanile, e tre campane, et uno orologio a campana. Viene servita, et officiata dal suo abbate e diece altri sacerdoti, et nove clerici; l'abbate li può rendere docati 30, et li preti docati 20.

Nel finimento del habitato vi è una cappella sotto titolo di San Rocco; in essa vi  è l'altare maggiore con cona di San Rocco, et San Sebastiano di buona pittura; tiene tutte le comodità per celebrare, et si celebra a devotione; vi è una campana. All'incontro il palazzo del utile Signore vi è la chiesa di San Giovanni; in testa vi è l'altare maggiore con cona di detto santo di buona pittura, et alla destra della nave vi è uno altare, sopra vi è la cona di Santo Jacovo Maggiore di buona pittura; tiene li apparati necessarij, et si celebra a devotione e tiene due campane.

Nel'habitato di detta Terra vi è un convento di Padri di San Francesco di Paula dov'è una chiesa sotto detto titolo di San Francesco, la quale è ad una nave coverta con intempiatura; tiene una porta laterale; in testa è l'altare maggiore, sopra vi è custodia indorata dove assiste il Santissimo, et sopra vi è la cona di Santa Maria della Gratia di pittura antica; dietro è choro per officiare, et alla destra della nave vi è il pulpido; appresso è l'altare, sopra è nostro Signore in croce, et alla senistra è una cappella con cona del Spirito Santo; appresso è la cappella di San Francesco di Paula, dov'è detto santo de relievo con guarnimenti di legname indorato; attorno vi sono li miracoli fatti per esso santo; appresso è la cappella del SS.mo Rosario dovè una cona grande, et nostra Signora del Rosario, et li misterij intorno di buona pittura, et guarnita di legname indorato; appresso è un'altra cappella con cona di nostra Signora del Carmine di buona pittura guarnita di legname indorato, ius patronato del signor Marcello Boccafurno, con campanile con due campane. Viene servita, et officiata dal suo correttore con altri quattro padri sacerdoti, et sei laici; tieneno li apparati necessarij, calici, ingensiero, navetta d'argento con una croce d'argento, stendardo bianco, et vi è la confraternita del SS.mo Rosario. L'habitatione di detti padri si entra dalla portaria, si trova uno cortiglio grande; in piano sono tutte l'offecine necessarie, et sopra dormitorij, et celle capaci per detti padri, viveno d'intrate, et carità.

Poco distante vi è l'Abbatia dei SS. Quaranta, qual'è una cappella; in testa è la cona de quaranta martiri di buona pittura; in essa si celebra tre volte la settimana da suo beneficiato con entrate di docati 30; tiene le comodità per officiare, et due campane. Fuore dell'habitato vi è la cappella di san Michel'Arcangelo dove si celebra quattro volte la settimana, e tiene le comodità per celebrare, et una campana.

Et per quello che spetta al'università si governa per uno sindico, et dui eletti, li quali si fanno in pubblico parlamento confirmati dal utile Signore. Si vive per catasto da quale se ne può percepere docati due milia più o meno conforme li bisogni, delli quali se ne pagano donativo, fiscali, et altri pesi; et dalle buone tenentie se ne può percepere docati 30 l'anno, li quali si pagano al monastero di San Francesco di Paula per la fundatione. Et questo è che consiste la Terra di Anoia. Sequeno tre Casali.

Il primo casale si chiama Susanoia, distante dalla Terra un miglio verso levante, di fuochi 80 in circa; stà situato ad uno sito piano, et eminente, il quale è di buon'aere; le habitationi sono parte separate ogn'una per sé, et parte attaccate insieme, et la maggior parte sono terrane, et le altre sono con camarette sopra fabricate di pietre, et di quatrielli di creta coverte universalmente di tetti; si divideno dette habitationi da strade larghe, et lunghe diritte, et si camina per esse comodamente; con dette habitationi vi sono attaccati giardini, et pergole.

Li habitanti di esso ne sono alcune persone civili, quali viveno con qualche comodità, et li altri con loro fatica nel governo delle campagne, et altri esercitij foresi, et le donne si esercitano alli notricati, et nelli altri esercitij foresi, et al tessere, et altri esercitij di casa, vesteno ordinariamente al uso del paese, et come meglio si può; dormeno sopra matarazzi, et sacconi, et altri sopra sacconi, et come meglio si può; li quali sono di buono aspetto, et per uso di essi poco distante vi è una fonte di acqua viva la quale è perfetta, et per loro comodità nelli giardini vi sono tutte sorte di frutti, verdume, li quali sono bastanti a detti habitanti, et quelli che li mancassero si provedeno dalle terre e luochi convicini, et per coltivare li territorij vi sono 15 para di bovi, 500 pecore, et 8 somari, li quali sono di particolari.

Per quello che spetta al'università si governa per dui eletti, quali si fanno in pubblico parlamento, et poi si confirmano dal utile Signore. Si vive per tassa, dalla quale ne può pervenire ogn'anno d.1000 li quali ne pagano fiscali, et altri pagamenti ordinarij et extra.

Ed a rispetto del spirituale vi è la chiesa parrocchiale sotto titolo di San Sebastiano, la quale è capace alli habitanti; in testa vi è l'altare maggiore, sopra vi è la custodia indorata dove assiste il Santissimo; vi è il fonte battesimale, palio, stendardo; tiene uno calice, ingensiero, navetta d'argento, et li apparati necessarij, et due campane; viene servita dal suo parrocchiano con titolo di abbate con altri sacerdoti, et clerici.

Poco distante vi è un'altra chiesa sotto titolo di Santa Maria dell'Assuntione; in essa si celebra a devotione; tiene li apparati necessarij, e due campane.

 

Et questo è quanto referimo intorno a detto apprezzo.

Napoli 20 Gennaro 1646

Johannes Baptista Amendola

Honofrio Tangho, Architetto, et Tabulario.

 

Questo documento, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (MS. XIV.D.4, ff. 1r-44r), è tratto dal libro del Prof. Giuseppe Caridi, POPOLAZIONE E TERRITORIO NELLA CALABRIA MODERNA, edito da Laruffa Editore, anno 1994.

 

 

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